martedì 30 settembre 2008
Parla Sow: i miei progetti a Milano (fonte "Tuttosport")
Parlare di cantiere aperto per definire l'Armani Jeans che oggi e domani disputerà il torneo di Bologna - con gli avversari odierni dell'Olympia-cos, più Vìrtus e Biella - è tutt'altro che fuori luogo. Tra infortuni e assenze dei nazionali, Piero Bucchi ha potuto schierare la squadra quasi al completo solo giovedì a Reggio Emilia, contando sui rientri di Rocca, Katelynas, Mordente e Bulleri (divenuto papà martedì scorso), mentre Vitali riprenderà martedì dopo la frattura alla mano destra. Anche per questo motivo, uno dei pochissimi punti fermi dell'AJ è stato il pivot senegalese Pape Sow, che benedice lo slittamento dell'inizio del campionato. «Le tante assenze, specie in regia - spiega il totem ex Rieti - hanno ostacolato il nostro precampionato, abbiamo ancora bisogno di qualche amichevole per poter essere pronti al via della stagione ufficiale».
IL DESTINO Milano era nel destino del 27enne nato a Dakar, visto che contro l'Armani Jeans Sow debuttò lo scorso anno in Serie A (con una prestazione da 23 punti) e sempre contro i biancorossi disputò l'ultima partita con la maglia di Rieti. «Giocare per una squadra con il prestigio e gli obiettivi di Milano - spiega - è un motivo di orgoglio. Poi è bello sapere che il nome della squadra è anche un marchio conosciuto nel mondo. Anche se quando ho firmato per l'Armarni Jeans, ho dovuto spiegare ad alcuni amici che ero venuto qui per giocare a basket. Pensavano che sarei diventato un modello e che sarei andato a sfilare...».
PAPA NERO Milano è l'ultima tappa di un percorso partito dal Senegal e passato attraverso California e Canada, prima delle esperienze con Rieti (dove fu ribattezzato "Papa nero") e del titolo polacco con il Prokom Trefl. «Venni reclutato a 17 anni a Dakar, giocavo a basket da poco più di tré anni, il mio sport precedente era il caldo, in cui mi alternavo tra la porta e il centrocampo, con il desiderio di emulare il mio idolo David Ginola, che preferivoanche a Weah. La prima esperienza fu nel Junior College di Chaffey, vicino a Los Angeles, dove perfezionai il mio inglese, poi passai a Cai State Fullerton. Ero l'unico a credere che sarei andato nella Nba, tanto che la mia chiamata nel draft (Miami lo scelse col numero 47 nel 2004, cedendolo subito a Toronto, ndr) sorprese persino il mio allenatore».
CON BARGNANI La sua parentesi con i Raptors, durata tré anni, è ricordata soprattutto per l'incidente (che causò la rottura di una vertebra del collo) in un allenamento alla Summer League di Las Vegas, nel 2006. «Ringraziando il Cielo, rientrai sette mesi dopo, con la forza di volontà e il sostegno dei miei genitori e della mia famiglia (un fratello e tré sorelle), e nella prima partita, contro Charlotte, ricevetti una standing ovation da brividi dai tifosi di Toronto». Cosa le resta degli anni vissuti nella Nba? «Affrontare i migliori giocatori del mondo, ad un livello di gioco in cui non è possibile distrarsi, ti arricchisce. E poi mi sono rimasti alcuni amici». Ad esempio? «Andrea Bargnani, ci siamo visti due settimane fa a Milano, mi ha fatto conoscere meglio la città. E' un ragazzo molto timido. Io sono più aperto, e sono stato il primo a farlo aprire e a diventare suo amico a Toronto, in un momento in cui si stava ancora ambientando».
CIAO AMERICA Al suo secondo anno in Italia, come giudica il livello del nostro campionato? «C'è grande competitivita, ogni squadra ha qualche stella. Parecchia gente pensa che il trasferimento di tanti giocatori dalla Nba all'Europa sia dovuta solo ai soldi, in realtà qui si gioca un basket di alto livello, che per certi versi è anche più difficile rispetto alla Nba. Per questo, non sono ossessionato dal ritomo negli States».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento